Cannes parla con i registi orientali più amati in Occidente. Il melodrammatico premio Oscar Ang Lee, autore di film epici e sensuali, e Park Chan-Wook, violentissimo e surreale disegnatore di orrori improbabili e vendette feroci. Strappa più risate che applausi Taking Woodstock, sconvolge e piace, nonostante l'eccessiva lunghezza, Thirst.
Taking Woodstock- Concorso
L'Ang Lee che non t'aspetti. Cambia genere, estetica, solo il modo narrativo rimane lo stesso, così come il cercare di vertere sui temi della libertà, anche e soprattutto attraverso la sessualità. Torna il regista che negli anni '90, con alterne fortune, indaga nella storia americana. Ma non lo fa sui libri di storia, bensì nella mitologia giovanile di un raduno che ha cambiato una generazione che a sua volta voleva cambiare il mondo: Woodstock. Si diverte a raccontare la storia di Elliot, il ragazzo che con una folle intuizione portò nel suo piccolo paese un evento che nessuno avrebbe mai immaginato, il modo migliore, come dice un Liev Schreiber queer e con parrucca bionda (da ricordare), "per vedere com'è fatto il centro dell'universo". Era il 1969, il mondo aveva visto la rivoluzione sessuale, le strade invase dai giovani, il conflitto politico e generazionale a livelli altissimi. E l'allunaggio, la morte di Judy Garland, la fine di un decennio di sangue che si era portato via Martin Luther King e Bobby Kennedy. Woodstock riunì i più grandi musicisti dell'epoca, ma soprattutto le speranze e la gioia di vivere di centinaia di migliaia di adolescenti e giovani per tre giorni "di musica e pace". Ang Lee, usando split screen e altri mezzi visivi ed estetici per lui inusuali, ce li racconta, antefatti compresi. Erge ad eroe questo giovane gay che divenne la salvezza degli hippi, lo fa con ironia e leggerezza , riuscendo come sempre, più nel ritratto particolare (la famiglia ebreo-americana di Elliot è tragica ed esilarante) che in quello universale. Molto bella la prima parte, il film si perde nella seconda, sostenuto quasi esclusivamente dalla splendida colonna sonora, alla ricerca di una quadratura del cerchio improbabile e impossibile. Per nostalgici.
Thirst- Concorso
Coppola nel suo incontro con il pubblico alla Quinzaine ha ricordato il suo Dracula con affetto. Non poteva immaginare che i vampiri, dopo i fasti di Bela Lugosi, la riutilizzazione quasi parodistica del cinema di serie B e il suo omaggio a Bram Stoker, risorgessero a nuova vita negli ultimi anni. Eroi giovanili e giovanilistici in Twilight, lobby nella serie tv True Blood (solo per fare alcuni esempi) ora arrivano pure in Corea, grazie a Park Chan-Wook. E arrivano con i modi e le follie visionarie a cui ci ha abituato il "padre" di Lady Vendetta, tra orrore e comicità, tra metafore e pugni nello stomaco. Qui il vampiro è un prete troppo appassionato, assetato di sangue e d'amore (Song Kang-Ho) e la sua compagna d'avventure, la bellissima e inquietante Tae-Joo (Kim Ok-Vin) che da allieva supererà il maestro (della notte, come molti chiamano i vampiri che possono donare nuova vita). Due ore e tredici minuti di morsi, sangue, sesso e comicità al limite del demenziale, Park Chan-Wook sembra più preoccupato di dare un saggio della sua bravura e del suo talento con la macchina da presa, piuttosto che raccontarci una storia. Si dilunga, ma sa intrattenere come pochi, e così lo si perdona. Anche per quel finale feroce e terribile, che vale tutte le pause che si è preso durante il film.
